Il mobbing: un tipo di stress psicosociale in ambito lavorativo
Definizione
Dal punto di vista etimologico, il termine “mobbing” lo si può far risalire a:
· termine latino “mobile vulgus”, plebaglia tumultuante;
· all’inglese “to mob”: aggredire, accerchiare, assalire in massa. Tale termine è stato usato, agli inizi degli anni 70 dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere il comportamento di alcuni animali che si coalizzano contro un membro del gruppo, lo attaccano, lo isolano, lo escludono dal gruppo, lo malmenano fino a portarlo anche alla morte.
Heinz Leymann, nel 1984, con la prima pubblicazione scientifica sull’argomento, introduce l’uso del termine MOBBING per indicare la particolare forma di vessazione esercitata nel contesto lavorativo, il cui fine consiste nell’estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro.
Leymann inizia ad utilizzare la parola MOBBING, per indicare quella forma di “comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione di mancata difesa”.
In Italia si inizia a parlare di mobbing sul lavoro solo negli anni ‘90 grazie allo psicologo del lavoro Harald Ege, che raffigura il fenomeno come “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o superiori” attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno 6 mesi. Ripetitività e durata sono dunque le 2 condizioni che devono essere presenti perché si possa affermare di trovarsi in presenza di mobbing sul lavoro.
In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che, progressivamente, si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico.
MOBBING: cosa non è:
1. non è una singola azione contro un lavoratore di tipo occasionale, non è un conflitto diffuso (organizzazione di lavoro sostenuto, sovraccarico lavoro per tutti i lavoratori dell’azienda, tensione diffusa per cambiamenti radicali, privatizzazione dell’ente, fusione, ecc.);
2. non è una malattia, nè una patologia, nè un problema dell’individuo, ma una situazione, un problema dell’ambiente di lavoro, non è depressione, né ansia, né gastrite, né insonnia, né stress, ecc. ma è la spiegazione di questi disturbi;
3. non è un problema familiare, scolastico, ecc.; è un fenomeno proprio e tipico dell’ambiente di lavoro;
4. non è una molestia sessuale anche si in alcuni casi i due comportamenti si possono sovrapporre: il mobber può decidere di infastidire la sua vittima tentando di aggredirla a fatti o a parole (l’azione viene posta in essere non allo scopo di ottenere una prestazione sessuale bensì per umiliare, allontanare o creare danni) oppure in caso di approccio sessuale, se rifiutato, il molestatore si può trasformare in mobber allo scopo di punire la sua vittima del rifiuto.
Mobbing: che cosa è:
Il mobbing è una strategia, un attacco ripetuto e continuato, secondo alcuni, almeno una volta alla settimana per almeno sei mesi, diretto contro una persona o un gruppo di persone da parte del datore di lavoro, superiori o pari grado che agiscono con finalità persecutorie.
Sono state date varie definizioni:
· “Violenza psicofisica e molestia morale sul luogo di lavoro… allo scopo di ledere la salute, la professionalità, la dignità della persona del lavoratore… si esegue con svariate modalità, aggressive e vessatorie, verbali e non verbali, tese all’emarginazione ed all’isolamento, alla squalifica professionale ed umana, al demansionamento, allo svuotamento delle mansioni e/o perdita del ruolo, con l’intento finale di bloccare la carriera e/o di eliminare la persona con conseguenze dannose sulla salute, sull’attività professionale, sulla vita privata e sociale, nonché un danno economico alla società….”.
· “… per mobbing si intendono atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti, pubblici o privati, da parte del datore di lavoro o da superiori ovvero da altri colleghi, e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica e di violenza morale.”
Gli atti e i comportamenti possono consistere in:
1. pressioni o molestie psicologiche;
2. calunnie sistematiche;
3. maltrattamenti verbali ed offese personali;
4. minacce od atteggiamenti tendenti ad intimorire od avvilire, anche in forma indiretta;
5. critiche immotivate ed atteggiamenti ostili;
6. delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’organizzazione;
7. svuotamento delle mansioni;
8. attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi, e comunque atti a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche del lavoratore;
9. attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto;
10. impedimento sistematico ed immotivato a notizie ed informazioni utili all’attività lavorativa;
11. marginalizzazione rispetto ad iniziative formative di riqualificazione e di aggiornamento professionale;
12. esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore, idonee a produrre danni o seri disagi;
13. atti vessatori indirizzati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni sessuali, di razza, di lingua e di religione.
I parametri fondamentali individuati da Harald Ege per definire il MOBBING sono sette:
· Ambiente di lavoro;
· Frequenza delle azioni mobbizzanti: almeno una volta alla settimana
· Durata: almeno sei mesi
· Tipo di azione: le azioni subite devono appartenere ad almeno due delle cinque categorie del “LIPT Ege”, questionario di Mobbing elaborato da Leymann e modificato da Ege dove vengono individuate 45 azioni ostili suddivise in 5 categorie:
a) attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare;
b) isolamento sistematico;
c) cambiamenti delle mansioni lavorative;
d) attacchi alla reputazione;
e) violenza e minacce di violenza.
· Dislivello psicologico fra gli antagonisti, il dislivello non viene inteso in senso gerarchico, ma nel senso che il mobbizzato non ha le stesse capacità didifendersi dell’aggressore.
· Andamento in fasi successive e in progresso: Leymann elaborò un modello a 4 fasi, successivamente modificato da Ege alle esigenze italiane, in un modello:
1° – conflitto mirato;
2° – inizio del mobbing;
3° – si individuano i primi sintomi psico-somatici;
4° – compaiono errori ed abusi;
5° – serio aggravamento della salute psico fisica della vittima;
6° – si verifica l’esclusione dal mondo del lavoro. E’ l’esito ultimo che può prendere la forma di un licenziamento, autolicenziamento, pre-pensionamento, ma che può anche arrivare a condotte auto e eterolesive;
7° – intento persecutorio.
Il mobbing si manifesta con maggio frequenza in organizzazioni di grandi dimensioni ove è possibile mantenere l’anonimato e nei reparti amministrativi o dei servizi (Università, Industria, Enti parastatali, Pubblica Amministrazione, Scuola, Sanità, Assicurazioni, Banche, Forze Armate, Regioni, Comuni, Province, Enti Privati, ecc.).
Colpisce maggiormente la fascia 41-50 anni (molto raramente i lavoratori sotto i 30 anni).
Tipologia del Mobbing
Bossing: viene messo in atto dal diretto superiore o dai vertici dell’ente.
Mobbing orizzontale: viene messo in atto da colleghi pari grado
Mobbing verticale: viene messo in atto da colleghi di grado superiore ma anche inferiore
Doppio Mobbing: si realizza, a parere di Ege, quando il mobbizzato carica la famiglia di tutte le sue problematiche. Ad una prima fase di comprensione dei familiari segue una condizione di distacco che, quando la situazione si aggrava, porta ad un ulteriore isolamento dell’individuo
Co-mobber: coloro che affiancano il Mobber o partecipano senza intervenire personalmente ma solo acconsentendo.
Mobbing trasversale: messo in atto da persone al di fuori dell’ambito lavorativo che, in accordo con il Mobber, creano ulteriore emarginazione e discriminazione nei confronti della vittima quando questi cerca appoggio o cerca di farsi apprezzare.
Esistono specifici disturbi o patologie psichiche e psicosomatiche collegabili al lavoro in quanto conseguenza di stress determinato da incongruenze delle scelte di processo organizzativo (“costrittività organizzativa”).
Elenco delle “costrittività organizzative” più ricorrenti
· Marginalizzazione dalla attività lavorativa;
· Svuotamento delle mansioni;
· Mancata assegnazione dei compiti lavorativi con inattività forzata;
· Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro;
· Ripetuti trasferimenti ingiustificati;
· Prolungata attribuzione dei compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto;
· Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psicofisici;
· Impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie;
· Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;
· Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale;
· Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
Sono esclusi dal rischio:
· i fattori organizzativo/gestionali legati al normale andamento del rapporto di lavoro;
· le situazioni indotte dalle dinamiche psicologico relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali o condotte comunque riconducibili a comportamenti puramente soggettivi che, in quanto tali, si prestano inevitabilmente a discrezionalità interpretative).
Accertamento delle condizioni di rischio
Sono necessarie indagini ispettive per raccogliere prove testimoniali dei colleghi di lavoro, del datore di lavoro, del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione delle aziende e di ogni persona informata sui fatti per:
· acquisire riscontri oggettivi di quanto dichiarato dall’assicurato;
· integrare gli elementi probatori prodotti dall’assicurato.
Psicodiagnostica del mobbing
La maggior parte dei casi di mobbing vengono invece diagnosticati come:
1. ptsd: disturbo da stress post-traumatico[Leymann & Gustfasson; Field; Ellis; Einarsen; Davenport, Elliott, Schwartz; Naime; Wilson; Pardini];
2. gad: disturbo d’ansia generalizzato [Leymann & Gustfasson];
3. pdsd: disturbo da stress prolungato [Field] ;
4. sindrome di affaticamento cronico [Ellis]; burn-out [Leymann & Gustfasson] ;
5. disturbo dell’adattamento [Pardini; Giglioli].
6. I questionari standardizzati utilizzati per diagnosticare il mobbing sono:
il Lipt di Leyman, Brief Psychiatric Rating Scale di Overall e Gorham, General Health Questionnaire di Goldberg,
Beck Depression Inventory di Beck,
Impact of Event Scale di Horowitz et al.,
Post Traumatic Symptom Scale di Malt, diagnosi di Ptsd accordata ai criteri del DSM e dell’IC.10.
Questionario di Mobbing “LIPT Ege”
Per quanto riguarda le diagnosi differenziali tra le varie sindromi è utile considerare i seguenti criteri: durata, intensità, frequenza, contesto in cui sono maturati i disturbi, la storia del paziente, il tempo di latenza. Si cercherà quindi di fare delle distinzioni, anche se spesso non esiste una linea di demarcazione oggettiva tra stress ed ansia. A riguardo basta ricordare che il DSM IV classifica il disturbo acuto da stress ed il disturbo post-traumatico da stress tra i disturbi d’ansia.
Distinguere tra paranoia ed ipervigilanza:
Innanzitutto è bene descrivere le differenze tra la persona paranoica e la persona mobbizzata. Tim Field è stato il primo a fare questa distinzione e a distinguere tra danno psichico e instabilità mentale nell’ambito del mobbing. Per Field la paranoia è duratura, l’ipervigilanza tende a diminuire gradualmente o addirittura a scomparire in mancanza delle cause che l’hanno prodotta. Il paranoico non ammette di essere paranoico, mentre invece la persona mobbizzata molto spesso esprime il timore di essere paranoica. La persona paranoica ha deliri di grandezza e le frustrazioni possono indurre ad un aggravamento della situazione, mentre la persona mobbizzata ha uno scarso livello di autostima. Il mobbizzato soffre di continui sensi di colpa e di vulnerabilità, prova sensazioni di vergogna e di inadeguatezza, invece il paranoico non ha questi sintomi. Infine la persona paranoica spesso sostiene che il persecutore è sconosciuto, il mobbizzato invece spesso non è consapevole di essere stato perseguitato. Comunque per non incorrere in errori (falsi positivi e falsi negativi) è necessario oltre alla somministrazione di un questionario standardizzato sul mobbing anche un colloquio clinico e/o la somministrazione di test proiettivi di personalità come il test di Rorschach e/o il TAT(Thematic Apperception Test di Murray), oppure di inventari standardizzati come il MMPI di Hataway e McKinley, il Big Five Factors di Mc Crae e Costa, il 16 PF(Personality Factors) di Cattell, l’Eysenk Personality Inventory appunto di Eysenk.
Il disturbo post-traumatico da stress (PTDS – Post-Traumatic Stress Disorder):
Solitamente è causato da un trauma grave come un incidente automobilistico, una rapina, una calamità naturale, una sparatoria, una violenza fisica, uno stupro, ecc. Questa sindrome nella maggior parte dei casi si manifesta in seguito al coinvolgimento di un evento traumatico vissuto come terribile, tremendo e devastante. Anche un infortunio sul lavoro può causare il Ptsd, subito dopo la persona che ne è stata coinvolta non sembra manifestare nessuna anomalia, di solito c’è un periodo di latenza, dopo 4-6 settimane la persona inizia a provare un senso di vulnerabilità psicologica e sia i suoi sentimenti che i suoi pensieri iniziano a ruotare attorno all’evento traumatico [Herman,1992].
La persona rivive l’evento tramite ricordi angosciosi, incubi, flashback dissociativi. Secondo il DSM IV il disturbo post-traumatico da stress può essere acuto (con sintomi che durano meno di tre mesi), cronico (con una durata superiore ai tre mesi), oppure può essere ad esordio ritardato (se i sintomi si manifestano almeno 6 mesi dopo l’evento stressante).
Spesso il disturbo post-traumatico da stress è la conseguenza diretta di un disturbo da stress acuto non curato. Il disturbo da stress acuto insorge in seguito ad un evento traumatico ed è caratterizzato da una sensazione di stordimento, da derealizzazione, da depersonalizzazione e da amnesia dissociativa.
Tornando alla diagnosi di mobbing viene da pensare come mai un mobbizzato presenti sintomi simili ad una persona che è sopravvissuta ad un trauma come per esempio ed incidente automobilistico, evento con una intensità enorme, ma di breve durata, nei casi di mobbing invece abbiamo quel che gli psichiatri americani chiamano KINDLING ( bruciare lento, prendere fuoco a poco a poco), ovvero un ripetersi continuo di microtraumi che possono portare alla citata patologia. Per Field (Tim Field, fondatore della. prima linea telefonica per mobbizzati in U.K) il PDSD (Prolonged Duress Stress Disorder) si distingue dal PTSD principalmente per il fatto che il disturbo da stress prolungato causato da mobbing prevede la perdita del lavoro e la comparsa di problemi di coppia o coniugali o familiari (quello che Ege in Italia ha definito doppio mobbing). Inoltre sempre secondo Field il PDSD prevede la comparsa di attacchi di panico e palpitazioni. Il PDSD quindi sarebbe diagnosticabile a lavoratori che sono stati sottoposti al mobbing per un periodo di tempo maggiore.
Disturbo d’ansia generalizzata (GAD – Generalized Anxiety Disorder):
Il disturbo d’ansia generalizzata presuppone una preoccupazione eccessiva e costante. I soggetti vivono in uno stato continuo di ipervigilanza e di inquietudine. Tra i sintomi inoltre uno stato elevato di tensione fisica, caratterizzato da vari dolori muscolari. Il GAD, in altre parole, provoca sia sintomi fisici che psicologici, i soggetti possono soffrire di secchezza delle fauci, cefalea, vertigini, formicolii.
La caratteristica principale di questa sindrome è che l’intensità, la durata, la frequenza dell’ansia e dell’apprensione sono eccessive rispetto al reale impatto degli eventi.
Il disturbo d’ansia generalizzata non presenta attacchi di panico isolati, bensì un livello costante di preoccupazione della durata di almeno 6 mesi. Per quanto riguardo un confronto tra PTSD e GAD bisogna considerare cinque elementi essenziali: l’intensità, la durata, il tempo di latenza, i dolori fisici e muscolari, i flashback. Intensità e durata dei sintomi sono maggiori nel GAD rispetto al PTSD. Il periodo di latenza ed i flashback sono riscontrabili solo nel PTSD. I dolori fisici e muscolari solo nel GAD.
Sindrome da affaticamento cronico (SAC):
Si tratta di un affaticamento cronico legato ad una caduta provvisoria delle difese immunitarie.
Su questa sindrome si sta ancora ricercando: alcuni ricercatori stanno cercando di analizzare gli aspetti depressivi di questo disturbo, alcuni ritengono perfino che sia “una depressione mascherata”, perché esistono delle analogie tra la sindrome da affaticamento cronico e la depressione grave. Sembra che non sia causata solo dal surmenage lavorativo, ma anche da uno squilibrio del ritmo circadiano. Per quanto riguarda una diagnosi differenziale tra SAC e PTSD bisogna quindi considerare l’intensità, la durata, il tempo di latenza. Per quanto riguarda i primi due aspetti nel caso di SAC è riscontrabile un livello minore rispetto al PTSD. Il tempo di latenza invece è verificabile soltanto nel PTSD.
Burn-out:
È un esaurimento caratterizzato in particolar modo da apatia, stanchezza, indifferenza nei confronti degli altri, mancanza di motivazione e perdita di coinvolgimento nel proprio lavoro.
Possiamo considerare questa sindrome uno stato psicologico di un professionista che prima riversava le sue forze interamente nel proprio lavoro, e a seguito di stress e di difficoltà organizzative poi si disimpegna. Il burn-out si distingue dal disturbo post-traumatico per il contesto in cui è maturato il disturbo, per i fattori scatenanti, per il fatto che nel burn-out esistono delle fasi mentre nel disturbo post-traumatico esiste un tempo di latenza ma non delle fasi una volta che si è verificata l’insorgenza.
Le fasi del burn-out sono quattro: periodo di entusiasmo, periodo di stagnazione, periodo di frustrazione, periodo di indifferenza ed apatia. Infine per quanto riguarda il burnout esiste un tratto di personalità che è correlato alla sindrome (il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri, puntuale, frettoloso, aggressivo), mentre invece nessuna caratteristica di personalità è correlata con il PTSD.
I disturbi dell’adattamento:
Alcuni i casi di mobbing in Italia vengono diagnosticati per la maggior parte con il disturbo post-traumatico o con un altro disturbo di adattamento. Va ricordato che i disturbi dell’adattamento si distinguono principalmente in base alla durata: il disturbo è acuto se dura da meno di 6 mesi, è cronico invece se ha una durata maggiore ai 6 mesi. Fondamentale nei disturbi dell’adattamento è la presenza di un agente stressante o traumatico avvenuto nei tre mesi precedenti. I sintomi psicologici inoltre tendono poi a scomparire dopo 6 mesi dall’assenza del fattore stressante.
La classificazione dei disturbi dell’adattamento conferma quanto scritto precedentemente: non esiste una distinzione netta ed oggettiva in alcuni casi tra depressione, ansia, stress. Ulteriore riprova di questo fatto è che ad esempio il disturbo post-traumatico da alcuni psichiatri è considerato come un tipo di depressione reattiva, mentre da altri un particolare tipo di stress.
La domanda che ci si pone a questo punto è la seguente: il mobbing può colpire chiunque oppure solo alcune persone con specifici tratti di personalità?
Attualmente è stata esclusa la correlazione tra i tratti di personalità del mobbizzato e l’insorgenza di mobbing anche se è legittimo pensare che esistano delle differenze individuali e che alcune persone possano possedere degli anticorpi psicologici più resistenti alle vessazioni, possiamo comunque affermare che possa esistere caratteristiche particolari nel profilo psicologico del mobber.
Il profilo psicologico del mobber:
Per quanto riguarda i tratti di personalità del mobber Field elenca 4 tipologie:
1. DISTURBO DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE: mancata accettazione delle norme sociali, disonestà, impulsività, mancanza di empatia per gli altri, irresponsabilità, mancanza di rimorso. Spesso il disturbo antisociale è la conseguenza di un disturbo della condotta iniziato prima dei quindici anni.
2. PERSONALITA’ PARANOICA: sospetto infondato che gli altri vogliano procurare danni o sfruttare, riluttanza a confidarsi, diffidenza verso la lealtà delle persone vicine, travisamento della realtà, mancanza di perdono per dubbie offese ricevute.
3. DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’: sentimento di superiorità rispetto agli altri, desiderio costante di ammirazione, scarsa empatia, fantasie sconfinate di successo, esagerazione delle proprie qualità.
4. DISTURBO BORDERLINE: relazioni instabili, sensazione di vuoto, senso di abbandono, incapacità di controllare la collera, comportamenti autolesionisti, mutamenti ricorrenti di umore, spese impulsive di denaro, comportamenti rischiosi.
© Andrea Castello – Irene Borgia