ISTAT: Rapporto sulla Competitività dei Settori Produttivi 2024

SINTESI

Nel 2023 lo scenario economico internazionale ha continuato a essere caratterizzato da una forte incertezza, alimentata da tensioni geopolitiche e dagli effetti restrittivi della politica monetaria; ne è conseguito un rallentamento della crescita globale, meno accentuato negli Stati Uniti e in Cina, più evidente in Europa. In questo contesto spicca l’andamento dell’e- conomia tedesca: la recessione in Germania, il nostro principale partner commerciale, ha costituito un ulteriore fattore di rallentamento per la crescita italiana.

Nel Rapporto quest’ultimo elemento viene analizzato sotto diversi aspetti, a cominciare dalle conseguenze sull’andamento del Pil italiano. Un esercizio di simulazione realizzato con il modello macroeconometrico dell’Istat stima che la minore domanda dei beni italiani da parte della sola Germania avrebbe determinato nel 2023 una diminuzione nella crescita del Pil di due decimi, soprattutto a seguito di una riduzione di un punto percentuale della dina- mica delle esportazioni. Si tratta di un impatto significativo, in considerazione del fatto che l’effetto complessivo del rallentamento del ciclo internazionale viene stimato, in un secondo esercizio, in otto decimi di punto di Pil.

Gli effetti della contrazione della domanda tedesca investono settori e imprese in misu- ra differenziata. Una versione innovativa (“estesa”) delle tavole intersettoriali di Contabilità nazionale permette di analizzare tali effetti in modo più granulare, valutandone l’entità sul valore aggiunto di diversi segmenti del sistema produttivo, attraverso una disaggregazione dei flussi commerciali per classe dimensionale d’impresa, appartenenza a gruppi (nazionali e multinazionali) e grado di coinvolgimento nelle catene globali del valore (Global Value Chains - GVC). I risultati mostrano che la caduta di valore aggiunto più ampia si sarebbe ri- scontrata nella Manifattura (-0,6 per cento), a riflesso in primis del peso preponderante del comparto sull’export nazionale (oltre l’80 per cento nel 2021). Gli effetti sui singoli settori risentono delle peculiarità dei rispettivi sistemi esportatori; l’impatto più ampio si osserva sul valore aggiunto della Metallurgia, in particolare per le imprese di piccole e media dimen- sione e per quelle con un grado medio di coinvolgimento nelle GVC. In sofferenza risultano anche le medie imprese di Chimica e Farmaceutica, e le multinazionali a controllo italiano nel comparto degli Apparecchi elettrici. Del resto, come viene mostrato nel Rapporto, nel 2023 la Germania rappresentava il principale mercato di destinazione per le quantità espor- tate di questi settori, con una quota in crescita (esclusa la Farmaceutica) rispetto al 2019.
In una prospettiva di più lungo periodo, l’interazione commerciale e produttiva tra Italia e Germania viene analizzata in un’ottica di dipendenza reciproca dei due sistemi economici, definendo la dipendenza come la misura in cui i processi produttivi di un paese necessitano della produzione degli input dell’altro. A partire dalla metà degli anni Novanta, la dipendenza dell’Italia dalla Germania - più elevata di quella della Germania dal nostro Paese - è pro- gressivamente aumentata, ma si è ridotta tra il 2018 e il 2020. Pertanto, se tale tendenza dovesse essere confermata nel biennio successivo al 2020 - come peraltro è stato rilevato in alcune analisi recenti - gli effetti negativi della recessione tedesca sull’economia italiana potrebbero risultare più modesti di quanto osservato in crisi passate.

Tuttavia, il susseguirsi di tre episodi recessivi tra i più gravi dal secondo dopoguerra non ha modificato la struttura delle esportazioni dei due paesi. Tra il 2008 e il 2022, infatti, il modello di specializzazione di Italia e Germania, in un confronto limitato alle quattro prin- cipali economie dell’Area euro, è rimasto sostanzialmente immutato: nel 2022 l’Italia conti- nuava a presentare vantaggi comparati in attività a contenuto tecnologico prevalentemente basso o medio-basso, con pochi casi a tecnologia medio-alta (Apparecchiature elettriche, Altri mezzi di trasporto, Macchinari); nello stesso anno, al contrario, le esportazioni di beni tedeschi si caratterizzavano per un livello tecnologico elevato. Rispetto a Italia e Germania, Francia e Spagna mostrano mutamenti più marcati: la prima registra vantaggi comparati in comparti sia a bassa sia ad alta tecnologia; la seconda mostra una generale tendenza a ridurre il numero di settori nei quali ha un vantaggio comparato e ad accrescere la specia- lizzazione in quelli tecnologicamente meno avanzati.

La struttura dell’export di un paese, tuttavia, è condizionata anche dall’influenza eser- citata dalle multinazionali sui flussi commerciali con l’estero, soprattutto nei comparti nei quali la quota di queste imprese sugli scambi internazionali è più elevata. La pandemia non sembra avere alterato in misura significativa il peso, già in precedenza preponderante, delle multinazionali sugli scambi commerciali dell’Italia: nel 2021 tali imprese generavano oltre tre quarti dell’export e oltre l’80 per cento dell’import complessivo della manifattura.

Nel Rapporto questi aspetti vengono esaminati su un piano sia settoriale sia geogra- fico. Tra i settori sui quali, rispetto ai principali paesi europei, l’Italia presenta vantaggi comparati, il 10,7 e il 6,2 per cento dell’export totale di Autoveicoli e di Prodotti in metallo deriva da flussi attivati da multinazionali a controllo tedesco, mentre le controllate francesi generano il 17,2 per cento delle esportazioni di Pelli. Sul piano geografico, la nazionalità della controllante può condizionare anche la direzione dei flussi commerciali: nel 2021 le unità attive in Italia controllate da imprese tedesche, ad esempio, spiegavano quasi un terzo delle esportazioni di prodotti farmaceutici in Germania; dalle controllate francesi dipendeva oltre il 20 per cento delle vendite in Francia di Bevande e il 37 per cento di quelle delle Altre industrie manifatturiere; le imprese a controllo statunitense generavano l’11,7 per cento delle esportazioni di Altri mezzi di trasporto negli Stati Uniti.

Germania, Francia e Stati Uniti costituiscono del resto importanti destinazioni per l’ex- port di tutte le regioni (la Germania rappresenta il principale mercato per otto regioni su venti), spiegando quasi ovunque oltre il 30 per cento del totale, con picchi intorno al 50 per cento in Abruzzo, Basilicata e Liguria. Insieme a Regno Unito, Cina, Spagna e Russia, nel 2023 questi paesi hanno acquistato oltre la metà dei beni esportati da otto regioni.

Un altro elemento che ha condizionato la congiuntura italiana e internazionale del 2023 è rappresentato dal persistere di tensioni inflazionistiche, analizzate, anche in que- sto caso, su diversi piani di analisi. Nel corso dell’anno tutti i paesi avanzati hanno speri- mentato un processo di rientro, favorito dal calo prezzi dei prodotti energetici e dall’azione delle banche centrali. Nell’Area euro, la fase disinflazionistica ha mostrato differenze nella tempistica tra i diversi paesi: il (parziale) rientro si è manifestato prima in Spagna (da luglio 2022), poi in Italia e Germania (da ottobre dello stesso anno) e solo successi- vamente in Francia (da febbraio 2023). A seguito di tale processo, nel 2023 i valori medi annui degli indici di prezzo al consumo si sono mantenuti superiori alla media dell’Area euro in Francia, Germania e Italia, inferiori in Spagna. Il percorso di rientro dell’indice IPCA è stato analogo per tutti e quattro i paesi fino al quarto trimestre, quando in Italia ha mostrato un’accelerazione alla quale hanno contribuito principalmente due fattori: il crol- lo dei prezzi dei beni energetici e il contributo disinflattivo dei prezzi regolamentati (quelli di prodotti energetici, alimentari e affitti), che soprattutto nella seconda metà dell’anno è risultato più ampio di quelli degli altri tre paesi.In Italia, nel 2023, l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo NIC (+5,7 per cento) è stato quasi interamente dovuto a un “effetto trascinamento” (+5,1 per cento), legato cioè all’inflazione ereditata dal 2022; la variazione “propria” del 2023, causata cioè dai rincari dell’ultimo anno, è pari a 0,5 per cento, ma con una forte eterogeneità tra le diverse catego- rie di beni, tra le quali si segnala l’andamento dei prezzi dei beni alimentari (+4,4 per cento); d’altra parte, trattandosi di uno dei principali elementi di traino della fiammata inflazionisti- ca degli ultimi anni, non sorprende che tra il 2019 e il 2023 quasi un terzo degli Alimentari lavorati abbiano registrato incrementi cumulati compresi tra il 20 e il 25 per cento, e quasi il 30 per cento di quelli non lavorati abbiano subito aumenti del 25-30 per cento.

Sul processo di rientro dell’inflazione osservato nel 2023 ha inciso l’azione delle Ban- che Centrali. In generale, l’effetto antinflazionistico di un innalzamento dei tassi ufficiali tenderà a manifestarsi tanto più lentamente quanto più l’inflazione sarà guidata da prodotti la cui dinamica dei prezzi tende a essere persistente, e tanto più rapidamente quanto mag- giore sarà il contributo proveniente dai beni a inflazione transitoria. Tali contributi, al pari di quelli relativi delle componenti di domanda e di offerta, sono oggetto di due esercizi di scomposizione degli indici dei prezzi al consumo armonizzati headline e core. Le stime evidenziano come per tutto il 2022, e fino al primo trimestre del 2023, alla salita dell’indice core abbiano fornito un contributo crescente i fattori di offerta, trainati dai servizi di tra- sporto, ristorazione e ricettività; nel secondo e terzo trimestre 2023 hanno invece prevalso quelli di domanda, guidati dalle dinamiche dei prezzi degli autoveicoli e dei beni non du- revoli per la casa. L’azione antinflazionistica della Banca centrale europea (Bce), pertanto, sebbene persista una rilevante componente di offerta, potrebbe avere ancora margine di efficacia nel limitare il contributo derivante dai fattori di domanda.

Tuttavia, la rapidità con cui tale obiettivo potrà essere perseguito dipende, tra l’altro, anche dalla vischiosità dei prezzi di tali fattori. Per cogliere quest’ultimo aspetto, un se- condo esercizio di stima scompone la dinamica dell’indice headline dei prezzi al consumo nelle componenti a inflazione persistente e non persistente, mostrando come la dinamica dell’inflazione, sia nella sua fase di accelerazione (in particolare a partire da gennaio 2022), sia in quella successiva di rallentamento (dalla primavera del 2023), sia stata guidata in prevalenza dai rincari dei beni a inflazione persistente, che dunque hanno sostenuto la di- namica inflattiva nel primo periodo, frenandone poi la decelerazione nel secondo.

L’orientamento restrittivo della politica monetaria rappresenta un fattore che, oltre ad avere avuto effetti antinflazionistici, ha inciso anche sulle condizioni di finanziamento delle imprese: a dicembre 2023, nella manifattura il differenziale tra la quota di unità che segna- lavano un miglioramento nei rapporti con le banche e quella delle imprese che lamentavano condizioni più restrittive era negativo, in misura cinque volte superiore a quella di dicembre 2021. 

Il peggioramento ha riguardato tutte le classi dimensionali - in particolare le unità piccole e medie - e si è manifestato principalmente in forma di interessi più elevati e di au- mento dei costi accessori; molto poco diffusi risultano invece gli ostacoli legati alla richie- sta di garanzie reali o finanziarie. Ciò evidenzia anche la sostanziale differenza nei confronti di precedenti episodi recessivi quali la crisi del debito sovrano, allorché le segnalazioni di maggiori oneri dal lato dei collaterali erano molto più numerose. La maggiore onerosità dei fidi concessi ha determinato inoltre un aumento dei casi di “domanda scoraggiata”, ovvero le circostanze in cui l’impresa recede dalla richiesta di finanziamento a causa dell’imposi- zione di condizioni meno favorevoli: a fine 2023 lo scoraggiamento spiegava oltre la metà dei casi di mancato ottenimento del credito.L’innalzamento dei tassi di interesse ha inoltre avuto conseguenze anche sulla solidità dei bilanci aziendali. Nel Rapporto, questo aspetto è misurato attraverso un esercizio di simulazione basato su un “Indicatore di sostenibilità economico-finanziaria” delle imprese (ISEF), che classifica le società di capitali italiane in quattro classi: “In salute”, “Fragili”, “A rischio”, “Fortemente a rischio”. L’esercizio, in particolare, stima l’effetto massimo deter- minato dall’aumento nel 2023 dei tassi di interesse bancari sulla redditività delle imprese, portandole da uno status di “In salute” o “Fragili” a una situazione “A rischio” o “Forte- mente a rischio”. I risultati mostrano come tale eventualità, a parità di condizioni, potrebbe avere coinvolto fino a un quarto delle imprese che nel 2022 presentavano una redditività sostenibile, cui afferivano quasi il 22 per cento del valore aggiunto e poco meno del 25 per cento degli addetti totali. La maggior parte di queste (circa un quinto) già soffriva di una struttura patrimoniale rischiosa (era dunque “Fragile”).

Gli effetti del rialzo dei tassi di interesse sui bilanci aziendali, tuttavia, intervengono alla fine di un decennio caratterizzato da un generale rafforzamento delle condizioni economico- finanziarie del sistema produttivo italiano: tra il 2011 e il 2022 la quota delle società di capi- tale “In salute” è aumentata continuamente, fino a raggiungere il massimo (37,2 per cento) in corrispondenza dell’ultimo anno; allo stesso tempo, è diminuito fortemente il peso delle unità “A rischio” e “Fortemente a rischio” (scese a un minimo del 10 per cento). Tra l’inizio e la fine del periodo, il consolidamento si è manifestato in un sostanziale raddoppio, in quasi tutti i macrosettori, delle quote di valore aggiunto e addetti delle imprese “In salute”. Alla base di tali tendenze hanno agito diversi fattori: da un lato il rafforzamento - in primo luogo patrimoniale - delle imprese, favorito da una fase prolungata di bassi livelli dei tassi di interesse e dall’adozione di specifici provvedimenti fiscali; dall’altro l’effetto di selezione determinato dalla crisi del debito sovrano, che ha colpito in prevalenza le unità più fragili.

Il processo di consolidamento è stato solo temporaneamente interrotto dallo shock pan- demico: con particolare riferimento alle imprese “Fortemente a rischio”, dopo l’aumento (limitato) dei casi di ingresso (downgrade) in questa classe di imprese nel 2019-20, e l’ancor più contenuta riduzione di quelli in uscita (upgrade) - favoriti in primo luogo dalle misure di sostegno alla liquidità aziendale - nel successivo biennio, grazie anche al forte incremento di redditività seguito al rimbalzo del 2020-21, sono ripresi gli andamenti pre-pandemia, con una quota di upgrade superiore, e una di downgrade inferiore, a quelle del 2018-19.

La sostenibilità economico-finanziaria delle imprese, tuttavia, è solo uno degli aspetti sui quali potrebbe avere inciso la recessione del 2020. La violenza della recessione da CO- VID-19, infatti, potrebbe avere avuto conseguenze di rilievo anche sugli aspetti strutturali del sistema produttivo, nonché sulle scelte strategiche delle imprese, chiamate a riorganiz- zare l’utilizzo del lavoro, gli spazi produttivi, le modalità di produzione e vendita, le reti di fornitura e distribuzione.

La disponibilità dei nuovi dati strutturali sulle imprese mostra come nel 2022, dopo la buona dinamica osservata nella fase di recupero del 2021, la ripresa dell’attività economica abbia determinato, in tutti i macrosettori, il superamento dei livelli pre-COVID in termini di numero di imprese, occupati e valore aggiunto, con variazioni più ampie nel terziario - che più aveva risentito della crisi - e nelle Costruzioni, grazie ai consistenti interventi di soste- gno governativi. Nell’Industria, invece, è proseguito il processo di ridimensionamento del numero di unità a fronte dell’aumento di occupazione e valore aggiunto che ha favorito, nell’arco di un decennio, una ricomposizione delle risorse a beneficio di imprese più grandi e più produttive. A seguito delle dinamiche appena descritte, tra il 2019 e il 2022 in tutti i comparti si è osservato un aumento della dimensione media d’impresa.

La pandemia e la crisi energetica hanno indotto mutamenti anche nelle strategie azien- dali. La seconda edizione del Censimento permanente sulle imprese (2022), e in particolare il confronto con l’edizione precedente (2019), consente di analizzarne diffusione e direzione. A tal fine, nel Rapporto viene proposto un indicatore sintetico di “dinamismo strategico” che, per ciascuna impresa, sintetizza la propensione a innovare, a investire in tecnologia, forma- zione del personale e organizzazione aziendale; ciò consente di raggruppare le unità produt- tive in cinque classi, ordinate per grado di dinamismo (da “basso” a “alto”) e caratterizzate da un ventaglio di organizzazione e investimenti molto diversi per complessità e intensità.

Ne emerge, con riferimento al 2022, un sistema “dualistico”: da un lato, quasi il 60 per cento delle imprese mostrava un grado di dinamismo al più “medio-basso”, ma rivestiva un peso economico limitato in termini di valore aggiunto (meno di un quarto) e di addetti (meno di un terzo); dall’altro lato, le imprese dinamiche erano molto meno numerose, ma economicamente più rilevanti, poiché generavano oltre la metà del valore aggiunto e del 40 per cento dell’occupazione. Tale dualismo, peraltro, è andato accentuandosi tra il 2018 e il 2022, con un evidente ridimensionamento della classe a dinamismo medio, a beneficio soprattutto di quelle a dinamismo alto e medio-alto e, in misura minore, di quelle a dinami- smo basso. Lo spostamento verso classi inferiori è stato guidato principalmente dalla ridu- zione degli investimenti in innovazione, digitalizzazione e capitale umano, cui corrisponde il passaggio a un finanziamento basato esclusivamente sulla liquidità interna. Le transizioni verso livelli di dinamismo medio-alti, e soprattutto alti, sono state favorite soprattutto da investimenti di crescente intensità nelle forme meno standard della transizione digitale (in ordine di importanza: Big Data, machine-to-machine, robotica avanzata) e in forme avan- zate di internazionalizzazione dell’attività. Nonostante si osservi una relazione diretta tra dimensione d’impresa e grado di dinamismo, i sentieri di sviluppo appena richiamati sono accessibili anche alle imprese di minore dimensione; questo ha consentito a migliaia di pic- cole unità di raggiungere livelli di produttività del lavoro superiori a quelli di imprese grandi ma a dinamismo basso o medio-basso.

Gli investimenti in tecnologia, in particolare digitale, appaiono quindi tra i fattori centrali per uno spostamento verso un maggiore dinamismo e una maggiore performance. Nel Rapporto si valuta quindi in quale misura la pandemia abbia rappresentato una discontinu- ità nell’evoluzione digitale del sistema produttivo. In particolare, il confronto tra le strategie delle imprese nei periodi precedente e successivo alla crisi mostra dinamiche complesse: in primo luogo, il processo di transizione appare scandito da fasi di passaggio necessarie - come l’infrastrutturazione e la successiva necessità di investimenti in cybersecurity - prima di ottenere concreti vantaggi di produttività. In secondo luogo, gli stimoli provenienti dal lato della domanda - in particolare quella online - appaiono fondamentali per indurre, come è accaduto durante il periodo pandemico, anche le imprese di piccola dimensione o di settori a bassa digitalizzazione a investire in tecnologie di connessione e, più in generale, nella transizione digitale dei processi produttivi. Come risultato di tali dinamiche, si è indeboli- ta la rilevanza delle imprese “Asistematiche” (meno propense alla digitalizzazione) e delle “Costruttive” (più orientate agli investimenti in infrastrutturazione digitale, meno alle tecno- logie avanzate) ed è aumentata quella delle imprese digitalmente “Mature” (che sfruttano efficacemente la trasformazione digitale per aumentare la produttività) e “Sperimentatrici” (orientate all’infrastrutturazione e ad adottare sistemi gestionali e di automazione).

Un ulteriore aspetto di particolare rilevanza, nell’analisi dei cambiamenti nei comporta- menti delle imprese tra il 2019 e il 2022, è rappresentato dalle strategie di internazionalizzazio- ne. In seguito alla pandemia, come noto, gli scambi internazionali basati sulla frammentazione delle catene produttive hanno subito forti sollecitazioni, che ne hanno messo in luce potenziali fragilità; la stretta interconnessione da queste generata tra paesi, settori e imprese rappre- senta peraltro un canale di propagazione degli shock. Nel Rapporto si analizzano le diverse forme con cui le imprese italiane partecipano ai mercati internazionali, anche alla luce del loro coinvolgimento nelle GVC. In particolare, nel 2022 nel sistema produttivo prevalevano ancora modalità di internazionalizzazione meno evolute e meno produttive (“Solo importatrici”, “Solo Esportatrici”, secondo la classificazione proposta), distribuite in modo non uniforme sul ter- ritorio nazionale: in Calabria e Sicilia coinvolgevano rispettivamente tre quarti e due terzi delle unità locali, in Lombardia e Friuli-Venezia Giulia meno di un terzo. In queste classi e in quella delle “Two-way traders”, tuttavia, il coinvolgimento nelle GVC assicura livelli più elevati di produttività del lavoro. Le forme più evolute (imprese “Global”, che operano in almeno cinque aree extra-UE, e “Multinazionali”), a loro volta, rappresentavano circa un quarto del totale delle imprese e si concentravano prevalentemente nelle regioni settentrionali (oltre il 37 per cento delle unità locali di Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia). Da queste classi, tuttavia, che nella quasi totalità comportavano una partecipazione alle GVC, dipendeva in larghissima misura la performance complessiva della manifattura internazionalizzata (oltre tre quarti del valore aggiunto, il novanta per cento dell’export e il settanta per cento dell’occupazione).

Tra il 2019 e il 2021 più di due terzi delle unità hanno mantenuto inalterata la propria forma di partecipazione agli scambi internazionali; tra le rimanenti, sono prevalsi lievemen- te gli spostamenti netti verso forme più complesse e gli ingressi nelle GVC. Le transizioni hanno riguardato con incidenza maggiore la classe delle “Two-way traders non GVC”: quasi il 30 per cento si è spostato verso le due classi inferiori, soprattutto verso quella di “Solo esportatore non GVC” (smettendo quindi sostanzialmente di importare), meno del 10 per cento ha invece adottato una forma più complessa. Tali dinamiche potrebbero essere in parte il risultato di strategie di reazione alle interruzioni nelle catene del valore provocate dalle misure di contenimento del contagio nei diversi paesi, che hanno spinto a modificare la platea di fornitori e clienti esteri delle imprese. Inoltre, a differenza di analoghi episodi di crisi del passato, le pressioni sulle GVC iniziate con la pandemia sembrano avere avuto conseguenze visibili anche sulle “Global”, ma differenziate a seconda della loro partecipa- zione o meno a catene globali del valore: tra il 2019 e il 2021 le unità di questa classe non coinvolte in GVC hanno infatti manifestato spostamenti netti verso il basso, riducendo il numero di aree geografiche servite e rimanendo per lo più al di fuori delle catene; gli spo- stamenti delle “Global GVC”, invece, sono stati determinati prevalentemente, oltre che dalla riduzione delle aree di destinazione dei prodotti, anche dalla fuoriuscita dalle GVC a parità di aree servite. Questi movimenti si sono accompagnati a una diminuzione del peso delle “Global” sull’export manifatturiero in pressoché tutte le regioni italiane, più accentuata in Abruzzo, Calabria, Sardegna e Molise.

L’estensione e l’intensità degli shock, inoltre, hanno messo in evidenza l’importanza di comprendere i legami tra le attività economiche. Gli strumenti finora a disposizione hanno costretto l’analisi a muoversi su un piano settoriale; tale tipo di lettura, tuttavia, potrebbe rispondere sempre meno alle nuove esigenze conoscitive, soprattutto ai fini di un supporto informativo per politiche industriali finalizzate a massimizzare l’efficacia dell’intervento e a minimizzarne i costi. Negli ultimi anni, infatti, anche a seguito della spinta proveniente dagli orientamenti comunitari in materia di mercato unico, i provvedimenti di policy tendono a superare la dimensione settoriale e a rivolgersi più generalmente alle filiere produttive, intese come l’insieme delle attività che compongono l’intera catena del valore di un bene o servizio, dalla progettazione alla vendita. Se dunque l’unità di riferimento delle policy divie- ne la filiera, è utile disporre di una lettura “di filiera” del sistema produttivo italiano.

In proposito, i risultati del secondo Censimento permanente sulle imprese consentono di fotografare e analizzare il posizionamento delle imprese all’interno di ventotto specifiche filiere: nel 2022 quelle che coinvolgevano il maggior numero di unità erano l’Agroalimen- tare, l’Edilizia, il Turismo e i Mezzi di trasporto su gomma. Si tratta anche delle filiere le cui imprese rappresentavano quote più elevate di valore aggiunto e (con l’eccezione di quella turistica) di occupazione.

Sul piano territoriale (per il quale la disponibilità di dati limita l’analisi al 2021), tra le filiere più rilevanti l’Agroalimentare generava circa un quinto del valore aggiunto nell’Emilia- Romagna e degli addetti in Calabria; quella dell’Edilizia circa un quinto del valore aggiunto e dell’occupazione regionale in Molise; quella dei Mezzi di trasporto su gomma aveva un peso maggiore in Piemonte e Basilicata, l’Abbigliamento in Toscana e nelle Marche, quella dei Mezzi di trasporto su acqua in Friuli-Venezia Giulia e Liguria.

La rilevanza di una filiera, tuttavia, può essere valutata anche sulla base di altre ca- ratteristiche, a cominciare dalla sua interconnessione con il resto del sistema produttivo, più in particolare sulla base della capacità di trasmissione degli impulsi da parte delle imprese e dei settori in esse coinvolti. Sotto questo aspetto, una filiera che presenta queste caratteristiche viene indicata nel Rapporto come “sistemica” o “dotata di rilevanza sistemica”, considerandola tanto più sistemica quanto più elevato risulta il valore com- plessivo dell’indicatore delle imprese che vi contribuiscono. A tale scopo, si ripropone l’“Indicatore di Rilevanza Sistemica” (IRIS) che, per ciascuna unità produttiva, sintetizza due diverse componenti del ruolo da questa rivestito all’interno del sistema produttivo: la dimensione economica e quella relazionale. I valori dell’indicatore permettono di indi- viduare otto filiere a elevata sistemicità, quelle che attivano la maggiore quota di valore aggiunto all’interno del sistema economico: Agroalimentare; Mezzi di trasporto su gom- ma; Energia, Edilizia, Abbigliamento; Macchine industriali non dedicate; Farmaceutica e cura di persone, animali e case; Sanità.

Questi risultati si basano su una misurazione della rilevanza sistemica delle filiere in ter- mini “estensivi”. Allo stesso tempo, tuttavia, tale fenomeno presenta anche una dimensione “intensiva”. In precedenti occasioni, infatti, si è mostrato come un sottoinsieme relativa- mente limitato di imprese molto sistemiche (l’1 per cento a maggiore sistemicità) determini in larga misura la trasmissione degli shock esogeni all’interno del sistema economico. Per tale ragione nel Rapporto si considera anche una misura della concentrazione, all’interno delle filiere, delle imprese più sistemiche. Ne emerge un quadro molto diverso da quello precedente: tra le filiere nelle quali la quota delle imprese altamente sistemiche risulta più elevata (almeno il triplo della media nazionale) si annoverano quelle relative a reti e servizi infrastrutturali - destinati a trasporto aereo, su rotaia, su acqua, alla fornitura di energia, alla gestione dei rifiuti - il sistema di Aerospazio/difesa e la costruzione di Mezzi di trasporto su rotaia. A conferma della natura multidimensionale della nozione di filiera “strategica”, si tratta di attività oggetto di regolamentazione o ritenute politicamente sensibili.Attraverso l’adozione di un nuovo piano di analisi, nel quale le imprese divengono il traît d’union nelle interazioni tra settori e filiere, nel Rapporto si sono quindi proposti nuovi strumenti interpretativi per la comprensione delle dinamiche interne al sistema produttivo e la misurazione della rilevanza delle filiere, da finalizzare a seconda delle mutevoli esigenze conoscitive e di politica industriale.

Fonte Rapporto sulla Competitività dei Settori Produttivi 2024 - ISTAT

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