Il Gruppo e la Motivazione
In questo articolo approfondiamo la dimensione organizzativa in cui è inserita l’attività del lavoratore, e più in generale il suo rapportarsi con entità come il gruppo e il team, alle quali l’individuo non solo reagisce, ma vi prende parte mediante le quotidiane interazioni contenute nei processi lavorativi coordinati.
In una società fatta di continue relazioni con organizzazioni di tipo diverso, oltre a quella lavorativa, non si può infatti prescindere dal comprendere le modalità soggettive di percepire il gruppo e la pluralità di rapporti all’interno di esso.
L’organizzazione, quindi, non è qualcosa di separato e di contrapposto agli uomini, bensì è il prodotto di modelli ricorrenti di interazioni che si ricostituiscono proprio attraverso le interazioni quotidiane.
L’importanza di tali rapporti e delle loro conseguenze in termini di motivazione, è stata evidenziata dalla Zucchermaglio, la quale definisce le organizzazioni come insieme di “comunità di pratiche” e non semplicemente come insieme di individui.
Tali comunità sono caratterizzate da tre dimensioni.
1. Un impegno reciproco (mutual engagement), ciò significa che l’appartenenza alla comunità è data solo dalla condivisione di uno stesso impegno.
2. L’impresa comune (a joint enterprise) che tende a evidenziare l’aspetto della negoziazione, essenziale perché si possa parlare di una comunità di pratiche. Ma avere degli obiettivi comuni non è tanto il punto di partenza quanto il risultato di un processo di interazione negoziale che ha origine da un impegno reciprocamente condiviso
3. Infine, il repertorio condiviso (a shared repertoire) che sottolinea la centralità della costruzione collettiva di risorse per la sussistenza e replicazione della organizzazione.
Per molte persone, inoltre, le organizzazioni sono fonte di self-identity (identificazione di sé stessi) e di supporto emozionale, ma anche delle mini-società che hanno loro propri e distintivi modelli culturali.
All’interno delle organizzazioni, infatti, un individuo “entra in contatto con le storie che le persone raccontano su quello che fanno, con le regole e le procedure formali, con i codici informali di comportamento, le norme di abbigliamento, i rituali, i compiti, i sistemi salariali, il gergo e gli scherzi che sono compresi solo da chi vi è all’interno” .
Tutti questi elementi contribuiscono a configurare un senso di appartenenza che ha dei fortissimi influssi sulle dinamiche motivazionali, noto nella prassi manageriale con il termine di cittadinanza organizzativa o di personalità organizzativa. Con questi termini si intende l’effetto positivo dell’influenza sociale sul comportamento lavorativo, influenza che, parlando di groupthink, può anche essere negativa, portando a fenomeni come il conformismo e l’inerzia sociale. In particolare ci si riferisce a quelle forme di altruismo, di coscienziosità, di cortesia, di supporto e di aiuto reciproco, che spesso si formano fra i componenti del gruppo a titolo puramente gratuito e senza secondi fini.
Comportamenti organizzativi questi, non espressamente richiesti dal ruolo formale ma che, se presenti, risultano funzionali alla positiva realizzazione dei compiti, costituendo inoltre un forte indicatore del grado di soddisfazione del lavoro, di motivazione dell’individuo al lavoro e all’organizzazione. Tali comportamenti possono essere rilevati direttamente attraverso delle “analisi di clima”, di cui si parlerà nel prosieguo, o indirettamente valutando, per esempio, il turnover, l’assenteismo o la produttività. Una persona motivata al lavoro e all’organizzazione avrà un basso tasso di assenteismo sul posto di lavoro e, verosimilmente, avrà una produttività medio-alta.
Volendo approfondire le dinamiche motivazionali all’interno dei gruppi, bisogna poi indagare la percezione di ciò che accomuna i membri di un gruppo. Potrebbero condividere un’attività, o una condizione, o uno scopo, o una qualità, con diversi livelli di consapevolezza. Conseguentemente varia la delimitazione di ciò che costituisce oggetto di interesse per il lavoratore.
Per esempio, l’influenza che viene esercitata su un individuo per il fatto di appartenere a un certo gruppo può essere molto forte in alcuni casi, come per la nazionalità o l’etnia.
Molti comportamenti della persona possono essere spiegati dal fatto di avere una determinata nazionalità, quindi abitudini, linguaggi, gusti, valori, in breve una certa cultura. In altri casi l’essere membro del gruppo influenza il comportamento solo in certi momenti e superficialmente: chi partecipa a un progetto lavorativo ne rispetta i termini e le scadenze, ma una volta giunto al termine le sue motivazioni cambiano. Infine ci sono situazioni in cui può essere considerata quasi nulla l’influenza esercitata sull’individuo dal fatto di essere membro di un gruppo, in special modo se quest’appartenenza non è soggettivamente percepita: chi sta aspettando l’autobus può non sentirsi affatto accomunato agli altri, insieme ai quali eventualmente si trovi. In tale situazione, potrebbe diventare di preminente interesse osservare l’influenza che deriva non già dall’appartenenza al gruppo ma dal comportamento di ognuno degli altri individui (si ricordi l’apprendimento sociale di Bandura). Posto quindi che, come si è detto, esistono diversi criteri di concettualizzazione del gruppo, e sempre rimanendo nella prospettiva del soggetto che ne è membro, può essere adottata in sintesi la seguente definizione di Lewin: “un gruppo è un insieme dinamico, costituito da individui che si percepiscono vicendevolmente come più o meno interdipendenti per qualche aspetto” .
Il gruppo esiste, pertanto, quando gli individui divengono consapevoli che, in qualche modo, il loro destino è collegato a quello del gruppo; è proprio il concetto di “interdipendenza del destino” che Lewin vuole far emergere nel frammento sopra menzionato. Nel gruppo di lavoro, oltre alla interdipendenza del destino emerge un altro aspetto caratterizzante, che si può definire “interdipendenza del compito”, quando cioè esiste un obiettivo da raggiungere, un compito da assolvere, tale che i risultati di ciascun membro hanno implicazioni per i risultati degli altri.
Questa interdipendenza può essere definita “positiva”, quando dà luogo all’instaurarsi di sentimenti di cooperazione e coesione tra i membri, favorendo una migliore prestazione del gruppo; oppure “negativa”, quando prevale la competizione che conduce a insicurezza, riduzione della coesione e peggioramento della prestazione complessiva.
In definitiva, va distinta la “motivazione al lavoro” dalla “motivazione al lavoro di gruppo” che non sempre coesistono e che invece sono estremamente necessarie ambedue nel caso del team working. La seconda caratteristica implica che il lavoratore abbia ben sviluppate competenze soprattutto di tipo relazionale e attitudine alla socializzazione delle informazioni, dei programmi e degli obiettivi condivisi.
Nell’approfondimento di queste tematiche, muovendosi da un approccio contingente, si ritiene di fare ricorso al concetto di adattamento organizzativo attraverso la nozione di equi-finalità, all’interno della teoria sistematica dell’organizzazione.
In questa analisi si vuole quindi evidenziare come le azioni manageriali tese all’accrescimento della motivazione devono essere orientate coerentemente con la forma organizzativa che gli fa da scenario, dal momento che, più aumenta la dimensione aziendale, più aumenta il numero di soggetti con funzioni analoghe e pertanto diventa misurabile su più vasta scala l’effetto dei fattori incentivanti. Aumenta anche la possibilità di confrontare le prestazioni di mansioni omogenee.
Difatti, considerando una specifica funzione e rilevando quello che si può definire il livello di prestazione standard associato alla data mansione, si possono individuare due prospettive di osservazione: una relativa al rendimento medio sotto il quale la prestazione sarà valutata non in linea con quella di gruppo e per questo considerata dall’individuo come il livello minimo di sopravvivenza all’interno dell’organizzazione. L’altra che evidenzia come il superamento dello standard, generando di per sé un riconoscimento interiore, conduca a quelle dinamiche motivazionali finalizzate all’uniformarsi ad un livello di prestazione superiore.
Si evidenzia così come il sentiero di sviluppo aziendale si deve muovere attraverso l’emulazione delle migliori prestazioni e azioni di benchmarking interno, senza tuttavia nascondere l’eventualità che questo orientamento possa portare a conflitti organizzativi.
© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo