Cosa significa Impact Investing oggi?
Il concetto dell’impact investing nasce circa 20 anni fa, introducendosi nel contesto economico come modello evolutivo della filantropia e della venture philanthropy, con l’obiettivo di perseguire attraverso nuovi modelli di business un ritorno sia finanziario che sociale. L’attività di impact investing si colloca in un territorio intermedio tra la filantropia e gli investimenti tradizionali e si caratterizza per tre elementi fondamentali:
1. L’intenzionalità dell’investitore nel generare impatto
2. L’aspettativa di un rendimento economico “paziente” e sostenibile
3. La misurabilità dell’impatto che ne consegue dal singolo investimento
Il suo obiettivo ambizioso era quello di superare la netta dicotomia tra profit e non profit, con target di ritorno finanziario più contenuto e sostenibile e di ricercare soluzioni positive attraverso modelli di investimento in grado di offrire risposte a bisogni della società in senso lato, quindi non solo delle sue componenti più fragili. Da questo punto di vista i target di riferimento dell’impact investing, nella sua forma originaria, erano le cosiddette «social impact enterprise», espressione usata per diversificare queste imprese dal modello tradizionale dell’impresa sociale, sia per il modello di business in sé (volto a coniugare le due tipologie di ritorno in una value proposition a impatto e al tempo stesso commercially viable) sia per il gap di domanda a cui dare risposta, rappresentato non solo dalle fragilità della società.
Possiamo poi racchiudere gli obiettivi dell’impact investing in tre grandi macrocategorie:
1) l’imprenditorialità sociale sia grazie a nuovi flussi di capitali investiti secondo la logica impact che il perfezionamento degli standard di trasparenza finanziaria e sociale;
2) le soluzioni welfare grazie al miglioramento dell’efficienza ed efficacia della spesa pubblica per i servizi di welfare, in particolare per gli interventi di natura preventiva;
3) il soddisfacimento dei bisogni con l’allocazione di nuove risorse verso investimenti in aree come il disagio abitativo, la cura dell’infanzia e degli anziani, la dispersione scolastica o la valorizzazione della cultura.
Chi sono gli attori coinvolti
Ma chi sono effettivamente i soggetti che ruotano intorno al mondo della finanza sostenibile?
La maggior parte dei soggetti investitori sono fondi d’investimento for-profit e no-profit: insieme rappresentano più del 60% del totale seguiti da fondazioni (circa 10%), altri istituti finanziari e compagnie assicurative.
Analizzare la tipologia e ampiezza degli attori che ruotano intorno al settore è di fondamentale importanza per capire in quale direzione stia andando il mercato.
Per fare qualche esempio, si pensi a come dal 2015 in poi negli Stati Uniti, grazie a linee guida sviluppate dal Ministero del Tesoro, le fondazioniabbiano iniziato a investire i loro capitali con un occhio agli obiettivi cosiddetti charitable anche in previsione di sacrificarne i rendimenti. Le linee guida andavano a sancire ufficialmente una tendenza già nota: uno studio del Common fund Institute pochi anni prima aveva rivelato che più del 90% delle fondazioni utilizzavano criteri simili allo screening negativo nelle loro decisioni d’investimento; lo stesso istituto, pochi mesi dopo le direttive citate rivelava che il 20% delle fondazioni private era formalmente impegnato nell’impact investing. Nello stesso anno il Ministero del Lavoro statunitense diffondeva linee guida per fondi pensione che sottostavano all’ERISA e che erano alla ricerca di strumenti d’investimento caratterizzati da un certo rendimento e da obiettivi sociali e ambientali. Questa politica era una diretta risposta a sondaggi di Deloitte dell’anno precedente che rivelavano come meno di un fondo su dieci aveva in portafoglio un impact investment mentre oltre il 60% aveva in previsione di effettuarne uno.
Accanto agli investitori vanno tenuti in considerazione altri stakeholders che contribuiscono a sviluppo, diffusione ed evoluzione del fenomeno. Le Nazioni Unite nel 2015 hanno elaborato e promosso i Sustainable Development Goals (figura in basso), ovvero 17 obiettivi sociali e ambientali da raggiungere entro il 2030: tra loro, per esempio, ci sono lo sradicamento della povertà globale e la conservazione di oceani e foreste. Qual è stata la risposta delle imprese? Per citarne alcune, Bank of America ha adattato la sua strategia di investimento decennale che prevedeva investimenti per 50 miliardi di dollari nell’abbandono dei combustibili fossili, come previsto dall’obiettivo 7. Deutsche Bank ha stretto diverse partnership per il raggiungimento di svariati obiettivi.
Gli strumenti
Passando invece ad una breve disamina degli strumenti utilizzati in ambito impact, notiamo come la varietà degli stessi attualmente presenti sul mercato possono essere distinti per la loro natura di debito o equity, ma anche considerando la maturità dello strumento e dello stadio di sviluppo dell’investimento. Per citarne alcuni:
· GREEN, SOCIAL & SUSTAINABILITY BOND: si tratta di articoli di debito emesse da enti pubblici e privaty che operano secondo l’approccio impact, fornendo nuova liquidità a iniziative che mirano alla realizzazione di risultati sociali e/o ambientali positivi.
· IMPACT FUND: fondi che, attraverso strumenti di debito o equity e quasi-equity, investono principalmente nelle fasi di lancio e crescita di iniziative che hanno come fine ultimo quello di generare un impatto positivo sulla società.
· STRUMENTI DI PAYMENT BY RESULT (PBR): strumenti la cui remunerazione e anche modalità di rimborso sono strettamente correlati al raggiungimento di obiettivi prefissati. Un esempio di questo tipo è quello dei Social Impact Bond (SPIB), strumenti che, mediante la raccolta di capitali privati, consentono la promozione di politiche pubbliche innovative.
· LINEE DI CREDITO IMPACT: finanziamenti che spesso vengono offerti a condizioni economiche agevolate che mirano a sostenere le imprese che possono generare impatti positivi verso le comunità.
Il mercato di riferimento
Per quanto riguarda la destinazione geografica la prima distinzione che si può fare è tra mercati emergenti e mercati sviluppati: dai dati degli ultimi anni si evince un focus più profondo per i mercati emergenti che crescono del 24% annuo rispetto a quelli sviluppati che hanno un tasso di crescita di 6 punti inferiore. In particolare i mercati di destinazione che stanno crescendo molto sono l’Africa Sub-Sahariana, l’America Latina, Est e Sudest Asiatico seguiti da mercati più lenti come Est Europa e Russia: in Europa gli stati più attivi sono invece l’Olanda e la Danimarca [1].
Ma vediamo come nel mondo il fenomeno dell’impact investing stia generando valore. Partiamo dal Regno Unito, considerato leader nel settore, che fino ad oggi ha realizzato circa 69 Social Impact Bonds ed ha sviluppato il Green+Gilt, ovvero un modello di obbligazione che persegue obiettivi a scopo benefico sia sociale che ambientale. La Finlandia che ha lanciato il Refugee Social Impact Bond al fine di sostenere l’integrazione di migliaia di rifugiati e migranti del mercato del lavoro finlandese. Spostandoci verso la parte orientale troviamo poi il Giappone che ha instituito l’ANPIA, uno strumento che permette alle aziende private di utilizzare i depositi dormienti per sostenere attività di interesse pubblico. Meritevole di attenzione è anche l’India che ha lanciato il primo Development Impact Bond del mondo, l’Educate Girls DIB per migliorare la qualità dell’istruzione di 15.000 ragazze indiane.
Qual è invece il contributo dell’Italia? Negli ultimi anni la finanza sostenibile, su impulso anche dell’Unione Europea, ha preso sempre più campo nel nostro Paese. Sono infatti nati numerosi fondi a impatto come Opes, Sefea, Oltre. Nel 2018 inoltre, il Dipartimento per la Funzione Pubblica ha istituito il FIS (Fondo per l’Innovazione sociale) al fine di supportare i bisogni sociali emergenti mediante l’allocazione di capitali privati. Sono infatti sempre di più i risparmiatori orientati ad investire eticamente e le aziende che si stanno accorgendo che la sostenibilità non deve essere intesa come un costo ma bensì come una risorsa. Secondo, infatti, un’indagine del Forum per la Finanza Sostenibile, oggi il 77% dei risparmiatori conosce gli investimenti sostenibili (il 20% in più rispetto al 2018).
Tuttavia, sono ancora troppo pochi quelli che effettivamente adottano poi delle scelte di investimento in tal senso (solo il 18% degli intervistati, infatti, ha già scelto questa tipologia di strumento finanziario).
La scarsa propensione trova origine da un fattore pressoché quasi scontato: la modesta formazione finanziaria che caratterizza il nostro Paese. C’è però anche da sottolineare come il Covid-19, nonostante gli effetti devastanti sull’economia, ha comunque influito sulle abitudini finanziare dei risparmiatori. Il timore e le incertezze sul futuro hanno spinto le persone ad accantonare somme sempre più significative sui propri conti. Nel triennio 2020–2022, se da un lato sono aumentati gli individui che vivono in povertà assoluta, dall’altro gli italiani hanno accumulato più del consueto (sia per i timori di incertezze lavorative, sia perché i lock down hanno ridotto in misura consistente le occasioni di spesa)[2].
E’ cresciuta anche l’attenzione all’andamento dei mercati ed alla situazione economica globale. Di conseguenza si è progressivamente anche rimodellato il profilo di rischio degli investimenti a favore di strumenti finanziari a basso rischio e gli investimenti ESG rientrano proprio in questa categoria (basti pensare che la maggior parte dei fondi dark green, ovvero quelli che maggiormente promuovono la sostenibilità, hanno un rating compreso tra AAA e AA).
La pandemia ha dato inoltre maggiore vigore all’interconnessione tra ambiente e responsabilità sociale: se prima infatti l’attenzione dei risparmiatori era maggiormente concertata solo su tematiche ambientali, la tendenza ora è quella di dare lo stesso peso anche agli aspetti che incidono sulla sfera sociale quali la salute, il welfare e i diritti dei lavoratori.
C’è da dire che il concetto di «impact investing» è diventato uno degli argomenti più caldi nel mondo finanziario e continuamente sorgono nuovi fondi di investimento che dichiarano di operare secondo le modalità proprie dell’impact investing. In generale, stiamo assistendo ad una maggiore consapevolezza dell’impatto economico che i rischi ambientali e sociali possono produrre. Il rapporto annuale sui rischi del World Economic Forumdel 2023 è stata un’assoluta conferma in questo senso. La survey fa emergere come nell’ultimo decennio i rischi economici, come per esempio le bolle speculative, siano stati abbondantemente superati dai rischi ambientali. Quelli climatici poi hanno per la prima volta dominato la classifica dei cinque rischi a lungo termine più probabili. Viene tuttavia confermata, anzi prende ancora più spazio, la convinzione che i rischi sociali e ambientali siano legati alle questioni economiche. Questo legame viene confermato sempre più anche dal crescente numero di imprese che stanno orientando i propri sforzi verso investimenti più green. Il persistente quadro d’incertezza creato dalla pandemia non ha distolto l’attenzione degli investitori dai temi della sostenibilità. La finanza sostenibile si conferma più resiliente rispetto agli investimenti tradizionali. Lo stesso vale per il mercato delle obbligazioni verdi, che potrebbe continuare a volare grazie alle varie iniziative normative in Europa, Usa e Cina come il piano Next Generation EU, l’Inflation Reduction Act negli Stati Uniti e l’introduzione di Green Bond Principles in Cina.
Ci si sta però chiedendo se le tematiche di sostenibilità e impatto possano in qualche modo rientrare in quello che possiamo definire il “bubble space” (si pensi alla bolla immobiliare che si verificò negli USA nel 2008). Ci sono diversi elementi che fanno pensare, con un certo grado di ottimismo, che l’impact investing ne sia ancora lontano, e probabilmente non ne farà mai ingresso. Secondo un’analisi di Bloomberg New Energy Finance, le prime 50 economie del mondo stanno destinando per 583 miliari di dollari ad investimenti che promuovano iniziative green. Negli anni, inoltre, si è assistito ad un importante aumento delle iniziative per promuovere l’impact investing nel settore del risparmio. Basti pensare ai Principi per l’Investimento Responsabile (PRI, Principles for Responsible Investment) o al sopracitato GIIN (Global Impact Investing Network).
Che futuro ci attende?
Tra i temi che riguardano la sostenibilità, le problematiche ambientali sono quelle che negli ultimi anni hanno avuto maggior attenzione; ciò non stupisce dato che gli effetti del cambiamento climatico sono ormai sempre più frequenti e di maggiore portata. Tuttavia, il concetto di sostenibilità, inteso come perseguimento dell’equità intergenerazionale, non può prescindere dalle tematiche sociali e di governance dell’impresa, così come sono riassunte dalla sigla ESG.
Ciò nonostante, l’offerta di strumenti sostenibili sul mercato è ancora limitata. I cosiddetti bond sostenibili sono ancora una piccola frazione del mercato obbligazionario globale: circa l’1% delle emissioni sovrane e il 3% delle emissioni societarie in circolazione[3]. Tra le maggiori cause che influiscono sulla scarsa offerta rientrano sicuramente le difficoltà che gli investitori percepiscono nell’individuare progetti e confezionare strumenti finanziari sostenibili da collocare sul mercato, per quantità e scadenze adeguate alla domanda.
L’individuazione però di progetti in cu investire al fine confezionare strumenti finanziari sostenibili trova particolari ostacoli sul fronte della trasparenza e della robustezza dei dati che sono alla base dell’elaborazione dei punteggi ESG e delle strategie di investimento.
Da una recente indagine condotta da Square Well risulta che 20 dei 50 maggiori gestori mondiali utilizzano almeno quattro fornitori diversi di dati ESG e che 30 gestori abbiano sviluppato internamente dei propri rating ESG [4]. I dati, tra l’altro, presentano delle criticità significative: non vi è ancora alla base un insieme di regole comune e certificate su come le singole imprese debbano misurare i propri indicatori di sostenibilità e di come questi poi possano essere certificati da un soggetto terzo [5]. Vi è poi un altro aspetto da non sottovalutare che riguarda la linea sottile tra l’essere individuato come un’impresa sostenibile o no. Prendiamo l’esempio di un’impresa agricola la quale potrebbe essere allineata all’obiettivo di sconfitta della fame nel mondo [6], ma se i prodotti impiegati ed i processi produttivi adottati danneggiano la qualità del suolo e inquinano i fiumi, questo inciderà negativamente sugli obiettivi 14 e 15.
Ma anche le stesse società di rating ESG dottano delle metodologie molto diverse tra loro al fine di elaborare un giudizio complessivo finale. Questo si traduce in un effetto distorsivo e giudizi che molto spesso sono divergenti fra loro e che sono caratterizzati da una correlazione inferiore rispetto a quanto si può riscontrare nei rating creditizi.
Il rischio di tali limiti potrebbe alimentare i dubbi sull’effettiva attendibilità dell’essere etichettati come un’impresa sostenibile. Queste incertezze si traducono in rischi concreti; secondo, infatti, alcune analisi svolte risulta che il 55% dei fondi etichettati come “fossil-fuel free” o “low carbon” hanno in realtà sovrastimato il proprio profilo di sostenibilità e che addirittura il 70% dei fond ESG non sono stati all’altezza dei loro obiettivi [7].
Per calmierare tali rischi si rende quindi necessaria una regolamentazione più chiara ed un sistema di verifica delle informazioni che sia più strutturato al fine di consolidare la fiducia in tali strumenti e contribuire al rafforzamento di tale segmento di mercato. Il tale contesto, le banche centrali svolgono un ruolo cruciale per lo sviluppo di modelli di analisi e previsione che combinino variabili macroeconomiche e climatiche.
[1] Eurosif, European SRI study
[2] Secondo i dati Bankit 2022
[3] Fonte: Bloomberg
[4] https://www.irmagazine.com/buy-side/more-half-top-50-asset-managers-developing-internal-esg-ratings ; https://www.im.natixis.com/us/research/esg-investing-survey-insight-report
[5] Visco (2021), https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2020/Visco_27022020.pdf
[6] Obiettivo numero 2 degli SDG (Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite)
[7] Influence Map (2021) https://influencemap.org/report/Climate-Funds-Are-They-Paris-Aligned-3eb83347267949847084306dae01c7b0
Fonte Finanza Tech
Articolo di Betty Savino